Frammenti

Frammento 1 – Antecedenti della questione

L’angoscia si diluisce oggi in varianti che la spogliano di ogni valore etico. Panico, ansia, fobie, sintomi psichici e somatici migratori, colpa e depressione per mancanza di reazione. Come sempre, si fanno tentativi per sopprimere l’angoscia mediante sedativi, alcol, funghi, parole magiche, riti religiosi e altri farmaci che la scienza ora fornisce.

Nello stesso tempo in cui Marx introduceva la nozione di sintomo sociale, nel 1844, Kierkegaard introdusse l’angoscia come concetto. L’angoscia non è definibile come sociale o plurale, essa è personale ed è legata al peccato, alla propria scelta basata sul sapere del sesso – sesso nel senso proprio del termine, taglio –. Contrariamente a tutte le mediazioni del sapere assoluto hegeliano, il sesso è, per Kierkegaard, l’unico caso in cui la sintesi implica opposizione ed esige scelta. Non c’è realtà intermedia, e se ne serve una, là c’è l’angoscia. Lo dice discretamente, il suo testo Begrebet Angest è pubblicato sotto lo pseudonimo di Virgilius Haufniensis. Circa mezzo secolo più tardi, Freud inaugurerà una disciplina nuova considerando apertamente che angoscia e sintomo, per il parlante di lingue equivoche, implicano il sesso come condizione causale.

Nel contesto inospitale tedesco del 1927, Heidegger spiegava che l’angoscia non si produce davanti ad un qualsiasi oggetto del mondo, ma davanti al mundus (ordine) come tale, questo mondo che duplica il corpo e che Lacan, che lo leggeva attentamente, ridurrà a un oggetto a. L’angoscia ci strappa dalla realtà quotidiana e impersonale del discorso comune, del mercato dove le cose hanno valore di scambio o di scarto. Questo ordine mercantile si impone su tutte le referenze soggettive, rendendo il parlante sempre più vulnerabile a un’angoscia che, improvvisamente, lo riduce al corpo come solus ipse in un mondo shopping, non-luogo, unheimlich. Per questo, la certezza dell’angoscia, ancora senza realtà, segnala la possibilità, l’imminenza certa di Altra cosa.

La cura che propone il filosofo è l’introduzione dell’esistenza singolare nel tempo, a ciascun giorno basta la sua pena (Sorge, souci), la cura consiste nell’azione dell’essere-per-la-morte. Alcuni decenni prima, Freud aveva avvertito che l’angoscia non si produce solo in questa prospettiva, e senza pseudonimi introduce l’essere per il sesso, l’essere due: l’angoscia è davanti al corpo Altro, al desiderio dell’Altro, alla relazione deficitaria con l’Altro, all’abbandono e anche al desiderio di morte (dell’Altro).

La soluzione filosofica, neutra o generica, si limita all’auto-aiuto, leggete il manuale e sbrogliatevela come potete. La soluzione scientifica è il farmaco, si tratta il corpo in quanto ente biochimico. Il dire di Freud punta sull’incontro con un Altro capace di ascoltare e far parlare l’angoscia, di farla entrare nel campo soggettivo dell’interpretazione, del sintomo e del transfert. Passare dalla certezza dell’angoscia a crederle (y croire), credere che essa voglia dire qualcosa.

Gabriel Lombardi, Buenos Aires, 23 luglio 2023


Frammento 2 – L’agguantare

L’angoscia vi agguanta – piccola, mano leggera sull’avambraccio ; violenta, che va a finire nel sangue. Possiamo cercare di civilizzarla sempre di più, sta sempre lì, acquattata ; sorge quando non ce la si aspetta e rovescia tutto. Non è per questa ragione che gli analisti, dopo Freud, si sono adoperati per trovare un’angoscia più fondamentale di quella di castrazione, che suppone uno scenario già molto elaborato ? Incorraggiati da Rank e il suo traumatismo della nascita che aveva obbligato Freud a riconsiderare tutto, hanno inventato l’aphanisis, la frammentazione, il crollo, lo smantellamento, lo strappo, tutta una serie di scenari del terrore supposti ancora più primitivi, alla misura di un’angoscia senza limiti.

Quindi, questa detta di castrazione dovrebbe trattarsi abbastanza facilmente: papà-mamma, pipì-cacca, io e io e io. Ma l’altra, quella che ringhia e che minaccia, la facciamo davvero tacere con queste stupidaggini già piuttosto trite ? Ai traumatizzati (PTSD – Disturbo da stress post-traumatico) ai quali Freud e i suoi allievi sono stati più attenti di noi, spiegate pure la legge del padre e fateci conoscere il risultato… Su questo punto, dobbiamo decidere : con Lacan, confermiamo questa distinzione delle angosce e il nostro smarrimento di fronte alle manifestazioni di un’angoscia primitiva che non sapremmo come affrontare? Non saremmo allora condotti a riservare a queste manifestazioni delle categorie speciali, falso Sé, stato limite, border-line etc ? Eppure, l’angoscia che appare come la più primitiva, non lo fa sempre in un contesto significante dato ? Questa « vera angoscia », non è il modo in cui si manifesta realmente per un soggetto la realtà della castrazione così come egli non voleva e non poteva immaginarla per quanto gli faceva orrore ?

Toccare questo non è necessario tranne per uno psicoanalista, se vuole accogliere una domanda di verità che ha esaurito i suoi sembianti, e non è pronta a riciclare questi ultimi a qualsiasi prezzo. Esiste un’angoscia che non ha un nome e che Lacan ha chiamato con una lettera, la prima : a. Quella dell’impossibilità a farsi sentire altrimenti che attraverso il dolore e il disagio. Tanto vale allora correre il rischio, perché ce n’é uno pure là, provare a ingannare l’orrore con il velo più o meno grazioso del fantasma, fino a quando venga a mancare, ancora una volta. Se i fantasmi sono ben condivisi, il modo in cui vengono a mancare è contingente, proprio a ciascuno. Qua, vale la pena andare a vedere ciò che sta succedendo, e forse fare un passo di lato per cercare di staccarsi dal sintomo e calmarlo. Come facciamo parlare le tracce dell’istante dove viene a mancare tutto ? Come interpretiamo la castrazione?

Marc Strauss, Agosto 2023


Frammento 3 – In principio era l’angoscia

Sebbene l’angoscia sembri una situazione episodica in cui la ragione o il pensiero si paralizzano e il corpo è preso da qualcosa che è più della paura, essa è strutturante. Dall’inizio alla fine, Lacan la situa come proveniente dal reale. Dapprima come effetto dell’«ingresso del soggetto nel reale»[1] taglio del simbolico sul reale il cui effetto è «il suo essere puro di soggetto»[2]. Un’entrata attraverso la destituzione soggettiva nella costituzione. Alla fine della sua opera la situa nel nodo borromeo come uno spostamento del reale sul simbolico[3], così anche come uno dei nomi del padre.[4]

Lo strutturante dell’angoscia «…si produce nell’io come un segnale, sul fondamento della Hilflosigkeit a cui è chiamata a porre rimedio»[5]. Le risposte, sempre insufficienti, sono il fantasma che offre un falso essere e i sintomi, siano essi pensati come obiezione all’ordine imposto dai discorsi, sia come soluzione al “non c’è rapporto sessuale”, sia come godimento dei tratti unari. Sono queste risposte a cui la psicoanalisi mira sul piano della verità e del dire vero degli uni di godimento dell’inconscio reale. È questo che contraddistingue la via etica dell’analisi, non solo perché oltrepassa l’orrore di sapere, bensì anche perché permette di prendere posizione di fronte a ciò che è più strutturale e strutturante.

Se la fine dell’analisi implica un passo attraverso la destituzione soggettiva, tramite il sapere, è ineludibile un tempo di angoscia, che implica un ulteriore sforzo da parte dell’analizzante e, dal lato dell’analista, di non cedere nel suo posto. Il lavoro con il mulino delle parole permetterà di riconoscersi lì, sapere costituito da questa materia angosciante, il dispositivo permette un’uscita, fa parlare l’angoscia.

Un dispositivo sempre aperto alla possibilità della sua imminenza, perché il reale è inesauribile. Così l’angoscia, tra altri, è un affetto che non inganna sulla fine di un’analisi, è segnale dell’avvicinamento a quel reale innominabile, dopo i giri detti dalla verità menzognera; non è l’ultimo, bensì un indice del cammino verso la porta d’uscita, il che implica il passo necessario attraverso la destituzione soggettiva a cui lo stesso linguaggio l’ha sottoposto, questa volta però per la via del sapere che necessariamente ha effetti nella riduzione dell’angoscia.

L’angoscia si può poetizzare, così come nel Werther “Non riconosci la voce della creatura esausta, svenuta, che affonda senza rimedio…”, spetta tuttavia agli analisti darle lo statuto strutturante che le corrisponde, se intendono coglierla nei loro pazienti, quando il percorso la fa emergere o quando è all’inizio per un avvento del reale.

Beatriz Elena Maya R.


[1] Cfr. Lacan, J. «[…] perché il soggetto […] faccia il suo ingresso nel reale», in «Nota sulla relazione di Daniel Lagache», in Scritti , Volume secondo, Giulio Einaudi, Torino 1974, p. 650, § 3.
[2] Lacan, J., Il seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], Giulio Einaudi, Torino 2016, p. 440, § 4.
[3] Lacan, J., Seminario XX, RSI, [1974-1975], inedito, Lezione del 10 dicembre 1974.
[4] Ivi, Lezione del 13 maggio 1975.
[5] Lacan, J., Il seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], op. cit., p. 22, § 2.


Frammento 4 – Breve nota sulla traduzione

“Traduttore, traditore”

Così dice Freud nel suo libro «Il motto si spirito »[1], il traduttore è un traditore.  Ma non si tratta di uno scherzo per il traduttore, bensì di una realtà che il traduttore deve affrontare per le inevitabili difficoltà presentate dalle particolarità di ogni lingua, per il ruolo cruciale svolto dalla metafora e dalla metonimia e per il cosiddetto gioco di parole. In fondo, si può giocare con il linguaggio, cambiare qualche lettera, ed è questa dimensione di gioco, secondo Freud, che permette di trarre piacere da uno scherzo, con la liberazione del nonsenso e la rimozione dell’inibizione.  Naturalmente, Lacan ha portato la dimensione di gioco del linguaggio un passo più in là con il suo uso inventivo e istruttivo dei neologismi. 

James Strachey, il traduttore di Freud, ci racconta il problema che ha incontrato nel tradurre der witz, per la sua traduzione inglese del “Motto di Spirito”[2].  Ha notato che, per motivi di coerenza, è stato necessario fare un compromesso.  La parola inglese “wit” o “witty” ha un significato molto più ristretto in inglese, riferendosi piuttosto a un tipo di umorismo raffinato o intellettuale.  Questa difficoltà ha fatto sì che né la parola “joke” né “wit” fossero giusti secondo il traduttore. La parola “joke” aveva un significato più ampio che permetteva al lettore di dare la propria interpretazione, anche se in alcuni casi la traduzione non era corretta.  Per Strachey, una volta adottata la parola inglese, era importante la coerenza dell’uso.    

Lo stesso vale per la parola tedesca “angst“. Strachey commenta direttamente la traduzione di “angst” in inglese[3].  Come per “ansia” ” [anxiety], “angst” è una parola piuttosto comune in tedesco. Tuttavia, ciò che sembrava importante per Strachey era che la traduzione dovesse riflettere l’uso psichiatrico che Freud faceva della parola angst, presente in parole come “angstneurose“.  Questo ha portato Strachey a usare la parola “ansia” [anxiety], nonostante abbia anche un uso più ampio in inglese.  Strachey ci dice che l’uso psichiatrico della parola anxiety risale alla metà del XVII secolo e, come per “angst“, il suo uso psichiatrico si riflette nella sua etimologia.  Entrambe hanno un riferimento al soffocamento e alla caratteristica psicologica in questione (angst-eng– restringere,limitare ; anxiety-angere-spremere, strozzare).  Anche la parola inglese “anguish” ha la stessa radice etimologica di “anxiety” e “angst“, ma Strachey sosteneva che riflettesse una condizione psicologica più acuta.  Strachey scende a compromessi utilizzando “ansia” per “angoscia“, una traduzione più tecnica, caratterizzata da un elemento anticipatorio e dall’assenza di un oggetto. 

« Anxiety » ” [ansia] come traduzione inglese di “angoscia” è un compromesso.  L’ansia è diventata uno dei disturbi più frequenti ed evidenti nella clinica psicoanalitica moderna. Come ai tempi di Freud, può manifestarsi in vari modi, tanto che è diventato sempre più difficile sapere cosa intende il soggetto quando afferma di essere ansioso.  Seguendo Freud, Lacan collega l’angoscia al reale, alla “hilflosigkeit” di fronte a ciò che non può essere detto.  L’angoscia è, come la chiamava Lacan, un affetto eccezionale.  È l’affetto che non inganna, proprio perché non ha un oggetto possibile, ma impossibile, objet a. Dato il compromesso e l’uso più ampio della parola “ansia“, spetta quindi a noi analisti nella clinica capire di cosa parla il paziente quando si riferisce al significante “ansia”, come capita spesso nella clinica psicoanalitica inglese.  Dobbiamo determinare se il reale è in gioco quando si parla di “ansia“. Quando un paziente parla di “ansia“, non possiamo presumere che stia parlando di un altro affetto meno eccezionale se non usa la parola “angst” o “anguish“, che è meno comunemente usata in inglese.  Né possiamo supporre che sia in gioco un oggetto reale impossibile.  Parlano di un’angoscia reale?  Come farla parlare?

L’uso della parola “ansia” ha una risonanza per chi legge e studia Freud e Lacan in inglese. Forse abbiamo ereditato questa traduzione con riluttanza, ma la coerenza, quando è necessario diventare il traditore, rimane appropriata.  Non vedo l’ora di una discussione giocosa su questo tema a Parigi.

Carmelo Scuderi, Melbourne, Settembre 2023


[1] Freud, S. (1905). SE. Vol VIII, p. 34.
[2] Freud, S. (1905). SE. Vol VIII, p. 6-7.
[3] Freud, S. (1895). SE. Vol III, p. 116.


Frammento 5 – L’angoscia nell’aritmetica sessuata

Come ha sottolineato Patrick Barillot nell’Argomento sul tema di questo Rendez-vous Internazionale: l’angoscia è indice del reale enigmatico del desiderio tramite l’oggetto a che è, al contempo, la sua unica traduzione soggettiva, per quanto riguarda l’amore e il desiderio.

La valenza fallica, intesa in termini logici, f(x), imprime la sua forza nei dibattiti attuali sulla sessuazione e i diversi sembianti che articolano questo nodo tra desiderio, godimento e amore.

Un frammento dell’angoscia femminile si evince negli ultimi capitoli del Seminario X, L’angoscia [1], in particolare per quanto riguarda il desiderio e il godimento. Dopo aver situato l’Altro reale come quel che specifica il godimento e aggiungere che la legge, che costituisce il desiderio, non riguarda questo Altro tranne che eccentricamente dal lato dell’oggetto a, Lacan si pronuncia: la donna si rivela superiore nel campo del godimento poiché il suo legame con il desiderio è più labile.

È però alla fine di questo Seminario che Lacan, in convergenza con Kierkegaard, dirà che le donne sono più angosciate degli uomini, elle sono più angosciate nella dialettica del desiderio e dell’amore. Questo è un fatto di casistica in psicoanalisi. Molte volte loro consultano per problemi d’amore. Le differenti circostanze e tempi della vita non mascherano questo fatto: le relazioni dell’amore, del desiderio e del godimento in quel che riguarda l’angoscia.

Colette Soler ha trattato questo tema in differenti momenti. Mi interessa evidenziare ciò che lei chiama clinica differenziale, referendosi all’angoscia, una sorta di “aritmetica sessuata” [2]. Prendo soltanto uno dei suoi ritagli sul tema, quando avverte che l’angoscia nelle donne può doversi al fatto che elle non sono lucertole, vale a dire che dinnanzi all’enigma del desiderio dell’Altro le donne sono più angosciate poiché, in mancanza di qualche oggetto da cedere, quel che è in gioco sono loro stesse. Questa affermazione si sostenta su ciò che Lacan ha articolato, alla fine di questo Seminario, riguardo alla cessione di oggetto.

Lacan, a partire dal 1972, avanzerà su questo tema dell’aritmetica sessuata proponendo le formule della sessuazione. Considero che il finale del Seminario X, L’angoscia sia uno dei suoi antecedenti. Quasi dieci anni dopo, ne «Lo stordito», prendendo Frege come referenza, egli dirà che è per la funzione, f(x), che gli esseri parlanti risponderanno con il loro modo di farvi argomento [3].

Questo certamente include la valenza fallica a cui ho fatto riferimento prima, la quale è nel cuore della discordia… della sessuazione. Sia per quanto riguarda l’Universale “Per ogni x, f(x)”, sia per il non-tutto. Tale valenza fallica vale per tutti i parlesseri, anche se alcuni possono non-tutto risponde al referenziale di questa funzione.

Nel dibattito attuale sulle identità sessuate, le corde di tensione difficilmente possono omettere il valore di segno dell’angoscia – il reale in questione – rispetto a questa aritmetica che indica che non c’è modo di farla parlare senza passare attraverso un ascolto logico che integri la funzione, f(x), nei detti sul desiderio, sul godimento e sull’amore.

Si osserva, quindi, che coloro che si ordinano soltanto nella valenza fallica, sono alla mercé dell’angoscia ogni volta che le abitudini della potenza e dell’impotenza non sono sufficienti per rispondere all’impossibilità dell’enigma del desiderio dell’Altro. Coloro che non-tutto si procurano attraverso la valenza fallica possono essere alla mercé dell’angoscia per l’effetto di estraneità del godimento enigmatico, ma possono tuttavia rispondere mediante il potere della parola.

Mi sembra che in entrambe le situazioni, far parlare l’angoscia sia proprio dare luogo, giustappunto, allo sviluppo delle versioni pulsionali nelle quali sintomo e fantasma si articolano. È un passo oltre l’estraneità, sapendo di essa e contando su di essa.

Sandra Berta, FCL-San Paolo, Brasile


[1] J. Lacan, Il seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Einaudi, Torino 2007.
[2] C. Soler, Les affects lacaniens, PUF, Paris 2011, p. 42.
[3] Cfr. J. Lacan, «Lo stordito» [1972], in Altri scritti, Einaudi, Torino, 2013.


Frammento 6 – « L’angoscia è proprio il sintomo tipo di ogni avvento del reale [1] »

L’angoscia non è senza oggetto [2]. C’è qualcosa di analogo a quello di cui l’angoscia è il segnale nel soggetto. Ecco il senso del non-senza della formula di Lacan, che svela che esso non manca, quel qualcosa di analogo all’oggetto. Ma il non-senza non lo designa. Esso presuppone dunque il sostegno del fatto della mancanza [3]. Un frammento enunciato da un’analizzante: “…si orientava mentre parlava.” Interrogandosi su quale garanzia ci sia nell’associare liberamente, Lacan avanza dicendo che il senso di qualsiasi enunciato: “si orienta verso quel buco nel reale […] che permette al simbolico di farvi nodo [4]”. Parlando della apprensione della psicoanalisi attraverso il nodo, dice: «il nodo costituisce il negativo della religione». Aggiunge: «non crediamo più all’oggetto ma constatiamo il desiderio, e dalla constatazione del desiderio induciamo la causa come oggettivata [5] ». Non cede dunque alla china religiosa, bensì afferma la via della logica che permette di indurre l’oggetto.

“L’angoscia, sintomo” in esergo, si può dunque intendere, come il segno di ogni “avvento del reale”. Lacan evoca l’avvento del reale per la prima volta in «Televisione [6] », e lo situa come un effetto della scienza. Introduce questo termine in un contesto in cui l’evento di corpo, ossia il godimento di un corpo vivente, non è presente. Questo pone la questione di definire ciò che chiama un avvento di reale nel campo della psicoanalisi. Contrariamente, l’evento di corpo egli l’ha molto sviluppato. Nella “Conferenza di Ginevra sul sintomo [7]”, egli descrive l’evento di corpo grazie al quale Freud ha scoperto l’inconscio, a partire dalla domanda sulla relazione tra l’angoscia e il sesso. Hans, con la prima erezione si trova confrontato con un’esperienza di godimento, un evento di corpo, l’incontro del reale sessuale che mette in opera la fobia. Così, sostituendo l’oggetto dell’angoscia con un significante che fa paura, si produce l’avvento di un primo fatto dell’inconscio-linguaggio: il cavallo di godimento, sintomo-goduto che costituisce l’inconscio che non rappresenta il soggetto, ma che determina il suo godimento.

“Non è il paradiso a essere perduto. È un certo oggetto [8]”. Forse, a livello formale, non sarebbe corretto dire che il significante sia prodotto dal soggetto, ma la funzione significante data a questo oggetto, rileva dall’efficacia del soggetto nel fare parlare l’angoscia, ed è ciò che fa evolvere la lingua. Nel Seminario La angoscia Lacan formula «l’angoscia è un affetto del soggetto […] che non inganna [9] ». Egli la ordina in funzione della struttura, quella del soggetto che parla, che è determinato da un effetto del significante. È qui che l’angoscia è il segno, il testimone di una beanza essenziale che la dottrina freudiana chiarisce [10]. Questa struttura del rapporto dell’angoscia con il desiderio, questa doppia beanza tra il soggetto e l’oggetto caduto dal soggetto nell’angoscia.

Se il reale è fuori simbolico, quali sono le vie d’accesso al reale nell’esperienza analitica? Dapprima quel che non va nella vita, ciò che ci cade addosso, è la definizione del traumatismo, e in seguito si iscrivono le vie tracciate dal linguaggio. Ogni trauma, e Freud lo pone all’origine della nevrosi, colpisce, non il soggetto direttamente, ma il suo corpo. «L’evento di un reale non è avvento che se l’apporto significante vi si aggiunge», dunque, l’avvento propriamente detto sarebbe: «l’invenzione del significante attraverso la fobia e in seguito su questo asse, l’invenzione freudiana dell’inconscio e l’avvento della psicoanalisi come nuovo discorso [11] ».

Diego Mautino, Roma, ottobre 2023


[1] J. Lacan, «La terza» [Roma, 1974], in La Psicoanalisi n° 12, Astrolabio, Roma 1992, p. 22 § 1.
[2] Cfr. J. Lacan, Dei Nomi-del-Padre [1963], Einaudi, Torino 2006, p. 35, § 1; ved. anche, Il seminario, Libro XVII, Il rovescio della psicoanalisi [1969-1970], Einaudi, Torino 2001, p. 66, § 3.
[3] Cfr. J. Lacan, Il seminario, Libro XVI, Da un Altro all’altro [1968-1969], Einaudi, Torino 2019, p. 293, § 1-2.
[4] Cfr. J. Lacan, Conférence au Centre Culturel Français le 30 mars 1974, in Lacan in Italia [1953-1978], La Salamandra, Milano 1978, pp. 104-147.
[5] J. Lacan, Il seminario, Libro XXIII, Il sinthomo [1975-1976], Astrolabio, Roma 2006, p. 35, § 1-2-5.
[6] J. Lacan, «Televisione» [1974],in Radiofonia & Televisione, Einaudi, Torino 1982, p. 92, § 5; ved. anche, «Televisione»,in Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 530, § 5.
[7] J. Lacan, «Il sintomo» Conferenza a Ginevra [1975],in La Psicoanalisi, n. 2, Astrolabio, Roma, 1987.
[8] « Ce n’est pas le paradis qui est perdu. C’est un certain objet. » J. Lacan, Le séminaire XIII, L’objet de la psychanalyse [1965-1966], Lezione del 22 giugno 1966, inedito. [Trad. Ns.]
[9] J. Lacan, Il seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Einaudi, Torino 2007, pp. 174 § 3 e 236 § 4; ved. anche, Dei Nomi-del-Padre, op. cit., p. 34, § 3-4.
[10] S. Freud, «La terra promessa», Lettera inedita a Chaim Koffler, il 26/02/1930, L’ospite ingrato, Quodlibet, Roma 2003, p. 95.
[11] C. Soler, Avventi del reale, dall’angoscia al sintomo, Corso 2015-2016, Formazioni cliniche del Campo lacaniano, Collège clinique psychanalytique de Paris, Edizioni Praxis del Campo lacaniano, Roma 2018, p. 186 § 2.


Frammento 7

Far parlare l’angoscia, non è altro che ciò che si fa dall’origine dei nostri tempi. In quanto a essa, «tra enigma e certezza», essa è muta, «imbuto temporale», «pietrificazione», «silenzio atterrito» dice Lacan. Vista oggi, in questo inizio del XXI Secolo, s’impone come l’affetto crescente dell’antropocene. È ciò che dice il grande clamore contemporaneo dalle voci così molteplici. Eppure, precedentemente, con Heidegger per esempio, era considerata il vissuto metafisico per eccellenza dei parlanti,  se il «davanti-a-che» dell’angoscia era proprio «l’essere gettato» nel mondo. Fatticità dell’esistenza. Era già un cambiamento nell’ormeggio dell’angoscia, leggibile nella nostra storia, diciamo a partire da Lutero per fissare qualche meda. Un passaggio delle angosce dal penitente del medioevo o, più originario, dal sacrificio di Abramo fino all’uomo senza dio del nostro tempo. Blaise Pascal, di fronte al «cielo stellato» ha lanciato il grido di questo sconvolgimento: «il silenzio degli spazi eterni mi sgomenta», senza che si sappia ancora se  questo sgomento è di fronte a un dio che tace o a un dio che è scomparso. Da questo, senza dubbio, la scommessa così tanto necessaria in fondo. Un secolo in più e Kierkegaard con la sua formula: «L’angoscia come condizione del peccato» faceva della possibilità stessa, il primo «davanti-a-che» dell’angoscia e prendeva dunque atto della fatticità dell’esistenza.

Tutto questo per ricordare che, malgrado il suo valore ontologico ben assicurato, quel che gli facciamo dire all’angoscia è funzione della storia. E così si apre la nostra questione sulla variazione propriamente psicoanalitica riguardo l’ormeggio dell’angoscia.

Quando Heidegger evoca il «davanti-a-che» dell’angoscia come «essere-gettato-nel-mondo» e quando Freud dice Hilflosigkeit, la derelizione dell’essere inerme, le risonanze sembrano vicine. Tranne questo che, tuttavia, salta agli occhi, Freud, che non è per niente metafisico, vi aggiunge con insistenza il «davanti-a-che» di un pericolo ben attuale, originario, la prima ferita, il trauma come egli lo chiama, la fonte inesauribile delle angosce perpetuate della nevrosi e, più in generale, di tutti i parlanti.

Quale successo per questa teoria dell’ormeggio dell’angoscia nel traumatismo ! Ci sono ancora secondo la vox populi attuale, delle sofferenze psichiche che non sarebbero da mettere in rapporto con un trauma ? – come esonero tuttofare, senza dubbio.

Lacan non sembra dire di no, “ciò che dobbiamo cogliere attraverso le sorprese” dell’associazione libera, “è qualcosa la cui incidenza originaria è stata segnata come trauma[1]”. Terreno noto, apparentemente, nella psicoanalisi, ma Lacan evoca subito «l’imbecillità», meno nota, che questa incidenza traumatica implica — almeno se postuliamo che provenga della realtà delle situazioni. Questo ci costringerà a interrogare ancora, la causa… non imbecille.

Colette Soler, gennaio 2024


[1] Lacan J., «Della psicoanalisi nei suoi rapporti con la realtà», Altri scritti, Einaudi, Torino 2013, p. 349, § 3.


Frammento 8 – Angoscia/e al singolare plurale

Preciso : l’angoscia è singolare, in tutti i sensi del termine d’altronde. Ma i modi in cui si esprime sono plurali, diversi e anche particolari, a seconda delle strutture cliniche.

Ma cosa è l’angoscia ? Un affetto che non inganna, dice Lacan, ciò che lo differenzia da altri affetti capaci di suscitare smarrimento o confusione, come l’amore o l’odio per esempio.

L’angoscia quindi colpisce il soggetto fin dal primo momento di vita. Spitz l’ha identificata con la cosiddetta angoscia dell’ottavo mese. Il bambino reagisce con diffidenza di fronte ad una persona sconosciuta. Manifestazione visibile dell’inquietudine di fronte al desiderio dell’Altro, A, che rappresenta qualsiasi altro, a, del linguaggio. Cosa vuole da me ? Qual è il desiderio dell’A/ltro ? Ecco il bambino che entra nel tormento dell’oscurità dei legami.

Il desiderio del soggetto si fonda sul desiderio prestatogli dall’a/Altro. Ma il suo compito è di non fondersi o confondersi con esso, per poter trovare e vivere la propria strada.

L’angoscia non è senza oggetto che la causa, ma ha un oggetto impossibile da circoscrivere e quindi impossibile da padroneggiare. Lacan lo chiama oggetto a. È irrappresentabile, traccia virtuale di un lampo che rivelerebbe la voracità desiderante dell’A/altro allo stesso tempo della tentazione di sottomettervisi.

Come farla parlare ? è la domanda che pone il Rendez-Vous Internazionale. Trovando nel vasto mondo un oggetto, esistente e/o immaginario, che abbia un nome, o che il soggetto nomini con un’invenzione linguistica (come il Babacar della piccola Piggle, paziente di Winnicott). L’angoscia ha allora un nome, il suo nome di fobia che rassicura, localizzando la paura staccata dall’oscura volontà dell’A/ltro.

Martine Menès, Gennaio 2024


Frammento 9 – L ’angoscia con le donne

Vienna, a cavallo fra la fine del XIX  e l’inizio del XX secolo, può essere guardata come rappresentativa dall’espressione dell’angoscia con le donne, diversa da quella precedente. Che cosa vogliono, quando lottano per ottenere maggiori diritti sociali e politici ? Che cosa succede a loro, quando si presentano con un misterioso sintomo di conversione, cioè disturbi corporei per i quali i medici non riescono a trovare una causa organica ? Di fronte a questo nuovo sintomo, Freud propone la psicoanalisi, un nuovo trattamento in cui il sintomo si riduce grazie alla rivelazione di ricordi d’infanzia rimossi. Tuttavia, ridefinendo l’inconscio, ha sconvolto i suoi contemporanei con l’idea che il sintomo e tutte le altre formazioni dell’inconscio – sogni, lapsus, atti mancati – hanno un significato sessuale.

Probabilmente sotto l’influenza delle scoperte di Freud, gli artisti dell’inizio del secolo iniziarono a presentare la questione dell’erotismo in modo inedito, come ad esempio Klimt nel suo dipinto “Giuditta con la testa di Oloferne”, basato su un motivo tratto dall’Antico Testamento. Una giovane vedova, Giuditta, si infiltra astutamente nell’accampamento dell’esercito assiro ostile per sedurre il loro capo. Quando Oloferne, incantato dalla sua bellezza, vuole possederla, Giuditta lo uccide, provocando la fuga delle sue truppe in preda al panico. Rompendo con la tradizione ecclesiastica del XIV secolo, secondo la quale Giuditta era rappresentata come un tipo di Maria, la madre di Gesù, Klimt accentuò il suo volto in uno stato di soddisfazione erotica, che provocò uno scandalo. [1] La Giuditta semisvestita di Klimt, che tiene in mano la testa solo parzialmente visibile di Oloferne, è ben lontana dall’incarnare l’ideale della madre della patria, spinta dal desiderio di proteggere gli Ebrei dalla fame.

Cosa c’era di così sconvolgente nel dipinto di Klimt ? Qualcosa della doppia faccia della madre scoperta da Freud come santa versus prostituta ? Oppure la raffigurazione di una donna che domina un uomo, rendendolo l’oggetto del suo godimento fallico del potere ? Non è forse così che Giuditta trionfa perché è riuscita a ribaltare su Oloferne l’angoscia in relazione a ciò che Lacan ha definito “destituzione soggettiva”? [2], in quanto momento in cui il soggetto si sente ridotto al corpo come strumento delle conquiste falliche dell’Altro? Secondo Lacan, l’angoscia si manifesta quando il linguaggio non riesce a dare un senso a ciò che viene sperimentato nel corpo e quando il soggetto sente che il desiderio oscuro dell’Altro mira al suo essere. Se si dovesse interpretare la sua soddisfazione erotica in questo modo, la Giuditta di Klimt non sta forse evitando questa angoscia, associata alla possibilità di essere oggetto di godimento di Oloferne in quanto l’Altro del sesso, procurandogli la morte come una massima misura della castrazione?

Praticando la psicoanalisi, Freud ha scoperto che le donne, fin dall’adolescenza, possono provare involontariamente dell’angoscia di fronte al desiderio sessuale degli uomini, percependolo come un’aggressione. Freud spiega questo fenomeno in diversi modi.  Una delle prime spiegazioni è che alla base del sintomo, esiste una sorta di turbamento sessuale legato a un evento infantile rimosso, della natura di un incontro con il desiderio sessuale dell’Altro o con il proprio, come illustra il caso di Emma. [3] L’eccitazione corporea si trasforma in angoscia in relazione allo stato di inermità del soggetto, Hilflosigkeit, tradotto da Lacan come mancanza di sapere, che risponderebbe alle domande del soggetto su ciò che gli sta accadendo e su ciò che l’Altro vuole da lui.Inoltre, Freud ha notato l’esistenza di teorie sessuali infantili in cui il coitus, sconosciuto, viene interpretato attraverso il prisma dell’aggressione, che è conosciuta. Ha pure sviluppato il concetto di complesso di Edipo e della castrazione immaginaria che gli è associata.

Lacan, invece, definendo l’angoscia come “il sintomo tipo di ogni avvento del reale” per tutti gli esseri parlanti, è andato oltre le definizioni freudiane che, nell’uomo, fanno dell’angoscia un effetto della paura della castrazione come perdita dell’organo di unione con la madre,  e nelle donne, l’effetto della paura di perdere l’amore di un uomo in quanto detentore di un organo. Nel caso delle donne, Lacan individua la causa della loro angoscia nel loro incontro specifico con il loro reale del sesso. Da un lato, questo incontro colloca la donna nella posizione di essere l’oggetto del desiderio e del godimento dell’uomo e d’altra parte, può esporla all’esperienza di un godimento supplementare, tipicamente femminile, altro che autoerotico e fallico. C’è un apparente contrasto tra il dipinto di Klimt e la scultura del Bernini che raffigura l’estasi di Santa Teresa in un piacere che va oltre il possesso fallico.

Dal punto di vista delle donne, è difficile accettare che per l’uomo, nell’amore, la donna sia il soggetto e nel desiderio sessuale l’oggetto. L’angoscia in una donna è quindi suscitata in primo luogo dal fatto di essere desiderata in quanto oggetto “più di godere”, cioè come parte del corpo, come nell’esempio freudiano del “culo di una giovane bellezza”. In secondo luogo, il godimento tipicamente femminile, il quale, a differenza del godimento fallico, è impossibile da afferrare nel registro simbolico, fa sì che una donna sperimenti se stessa come “Altra”.

Secondo Lacan, ciò che rende possibile, nell’uomo, la risposta all’angoscia di fronte al desiderio dell’Altro del sesso, è che “l’oggetto può essere ceduto”. Nell’uomo, il ruolo di questo oggetto a è svolto dall’organo fallico, e la cessione in questione implica la sua detumescenza dopo il rapporto. Questa ha la funzione di separare il soggetto dall’Altro, e quindi lo sollieve. Per una donna, questa detumescenza dell’organo maschile può portare sollievo, ma non ha alcun potere su di essa. Nel suo caso, non c’è altro oggetto da cedere se non se stessa. [4] Inoltre, il suo godimento è per lei enigmatico, perché nessun oggetto lo provoca e nessuno ne sa nulla, se non lei stessa che sa di provarlo. Perciò costituisce un travestimento del reale, il che non è per nulla rassicurante. [5] La psicoanalisi di Lacan, ponendo l’accento sulla questione della differenza di genere basata sulla differenza delle modalità di godimento, introduce quindi un cambiamento radicale rispetto alla psicoanalisi di Freud.

Se il dipinto di Klimt viene interpretato come un fantasma di potere della donna sull’uomo, non è forse ancora più attuale all’inizio del XXI secolo? Oggi, in un’epoca in cui i legami umani sono in parte ridotti a rapporti con gli oggetti di consumo, ci sarebbero molti esempi di questo. In primo luogo, quelli presenti nel linguaggio moderno quando, ad esempio, una giovane donna dice di un uomo “me lo sono scopato”. In secondo luogo, quelle osservabili clinicamente, quando una donna sente di trionfare su un uomo in virtù del suo portafoglio, del suo intelletto, della sua forza fisica o della sua libido, o quando seduce un uomo assumendo un aspetto sessualmente attraente e poi gli nega il suo corpo, non tenendo conto del reale del sesso maschile.

Le donne che aderiscono alle idee femministe attuali suscitano ansia negli uomini, come indicato dalla ricerca sociale [6] ed esperienza clinica. La questione della non simmetria dei sessi nella sessualità sembra sempre più difficile da affrontare. È diventata politicamente scorretta con la richiesta di un’uguaglianza universale tra i sessi in tutte le sfere della vita. Tra i punti di vista più radicali, l’idea di mettere in discussione la differenza di genere appare molto chiaramente. Il problema è che le donne stanno pagando il prezzo del loro attaccamento al godimento fallico, che può tradursi in difficoltà nel costruire relazioni e creare famiglie, o addirittura nell’affermazione della solitudine ( si veda il successo della canzone di Miley Cyrus “Flowers”, un manifesto femminista per la generazione dei millennials).

Sorge la domanda se questa pressione sociale influenzi il discorso analitico?

Anna Wojakowska-Skiba, Varsavia, febbraio 2024

Bibliografia e fonti d’ispirazione:
[1] “Klimt e Schiele. Eros et Psyché”, film documentario italiano diretto da Michele Mally, 2018.
[2] Lacan, J., Discours à l’EFP 6 décembre 1967, Autres Ecrits, Ed. du Seuil, Paris 2001. [Discorso alla Scuola Freudiana di Parigi del 6 dicembre 1967].
[3] Freud, S., Schema della psicoanalisi, [Entwurf einer Psychologie], 1895-1896.
[4] Lacan, J., Le Séminaire, Livre X, L’Angoisse (1962-1963), Paris, Seuil, 2004 [Seminario X, L’Angoscia (1962-1963)].
[5] Cfr. Soler, C., Les affects lacaniens, PUF, Presses Universitaires de France, 2011, p. 44-45. [Gli affetti lacaniani].
[6] Cfr. Ipsos research e il Global Women’s Leadership Institute del King’s College di Londra: https://www.ipsos.com/en/international-womens-day-global-opinion-remains-committed-gender-equality-half-now-believe-it.


Frammento 10 – Come la psicoanalisi tratta l’angoscia?

Nella clinica psicoanalitica lacaniana si parte dalla base che “non c’è una cura tipo”, né un protocollo per la cura, e che «la psicoanalisi non è una terapia come le altre»[1] in quanto il suo obiettivo non è la guarigione, inoltre, questo è un concetto “vacillante” nell’ambito psicoanalitico. Lacan interrogherà con ironia: «La psicoanalisi è forse puramente e semplicemente una terapeutica, un farmaco, un impiastro, una polvere del pirimpì, una di quelle cose che guariscono? Di primo acchitto, perché no? Solo che la psicoanalisi non è assolutamente questo.»[2] Farà appello –attraverso queste formulazioni– a un “rigore etico” separando così la psicoanalisi dalla psicoterapia. Neanche Freud aveva messo in primo piano la guarigione, così come scrive ad Abram Kardiner nel 1927.[3]

Nel Seminario X, Lacan riprende il tema alludendo al malinteso che si era prodotto tra alcuni analisti quando aveva sollevato che «nell’analisi la guarigione arriva in sovrappiù»[4], in quanto faceva riferimento alla metodologia, ossia al procedimento. Questo non esclude che siano apprezzabili gli effetti analitici di carattere terapeutico che si producono nella pratica, anche riguardo all’angoscia.

Nella psicoanalisi, l’angoscia non è concepita come un fenomeno anomalo della capacità di giudizio e di adattamento, o come un affetto/sintomo negativo che deve essere semplicemente eliminato, bensì ha un valore e una funzione primordiale a diversi livelli, ad esempio: è un affetto fondamentale nella strutturazione del parlêtre, è la manifestazione di un reale che, in uno dei suoi versanti, sfugge alla rappresentazione, ma orienta però l’esperienza analitica. È anche un punto di articolazione tra il desiderio e il godimento, e solleva la domanda sul desiderio.

L’angoscia ha un valore epistemico e senza di essa non sapremmo nulla di quel che c’è al di là del fantasma con cui ci proteggiamo dal reale.

Inoltre, si manifesta in tutte le strutture cliniche sotto diverse modalità.

Per quanto riguarda la psicosi, anche se ci possono essere “momenti fecondi” come nelle nevrosi, talvolta, l’angoscia subita da alcuni soggetti può portare a un passaggio all’atto irreversibile. Un frammento di un monologo di Sarah Kane, a proposito dell’angoscia, riflette questa sofferenza psichica: “È così rovinoso il dolore che si può provare e che non è fisico. Tutti i trattamenti psichiatrici intervengono e tengono conto della parte fisica della vicenda. Dunque ti addormentano o ti eccitano o ti rilassano o ti stimolano, ma niente può placare questa sofferenza che non è fisica (…) Si tratta di uno strazio che si genera nelle pieghe della mia mente” (…) e della “storia di una mente confinata in un corpo strano.[5]

Non sembra che gli psicofarmaci le servissero molto per alleviare questa sofferenza, eppure, se lo pensiamo in relazione ad alcuni casi di psicosi, un uso etico dei farmaci può essere favorevole a un trattamento analitico per ospitare un luogo per la parola?

Transitare, varcare l’angoscia

Anche nella clinica attuale, sia all’inizio o durante la cura, si verifica talvolta l’irruzione di un’angoscia intensa, al limite dell’insopportabile, che può ostacolarla o addirittura interromperla.

Riguardo al trattamento dell’angoscia, non si tratterebbe di puntare direttamente alla sua guarigione, bensì, piuttosto, di transitarla o varcarla, trattandola in maniera indiretta attraverso il sintomo, vale a dire dandole consistenza o solidità a questo – ci riferiamo fondamentalmente all’entrata – e avvalendosi dell’interpretazione come atto per rendere possibile il dispiegamento del sapere inconscio a partire dal transfert. In questo modo, si potranno avere effetti sull’angoscia e si potrà avanzare circoscrivendo il reale, che l’angoscia indica.

Quando un soggetto all’inizio, nel dispositivo analitico, parla dell’angoscia che sperimenta, in una certa misura ha già preso una certa distanza da ciò che sperimenta ed è più sul versante della sintomatizzazione.

È opportuno ricordare che Lacan ha avvertito gli analisti che “l’analisi deve disangosciare, non decolpevolizzare” e che «il desiderio è un rimedio all’angoscia»[6], cosicché, in questo momento del suo insegnamento, si tratterebbe di disangosciare mirando all’interpretazione del desiderio, cosa che assumerà anche un’altra prospettiva rispetto alle sue elaborazioni successive, in cui l’atto analitico può essere una risposta a un reale che non è rappresentabile né coglibile attraverso il significante.

L’analista, all’entrata, conta sui colloqui preliminari per la rettifica soggettiva, sul transfert, sull’interpretazione, sull’atto.

È vero che, nella clinica attuale, alcuni casi presentano maggior difficoltà per la rettifica soggettiva o l’isterizzazione e la libera associazione. Queste sono alcune delle sfide con cui ci confrontiamo nella clinica nella nostra civiltà attuale.

Roser Casalprim, 5 marzo 2024

Traduzione: Diego Mautino


[1] Jacques Lacan, «Varianti della cura-tipo» [1955], in Scritti, Volume primo, Einaudi, Torino 1974, p. 318, § 1.
[2] Jacques Lacan, «Posto, origine e fine del mio insegnamento» [1967], ne Il mio insegnamento e Io parlo ai muri, Astrolabio, Torino 1974, p. 20, § 1.
[3] A. Kardimer, Mi análisis con Freud, Ed. Joaquín Mortiz, Messico 1979, p. 70.
[4] Jacques Lacan, Il seminario, Libro X, L’angoscia [1962-1963], Einaudi, Torino 2007, p. 61, § 5.
[5] Kane, Sarah, 4.48 Psychose, Paris, L’Arche, 2001.
[6] Jacques Lacan, Il seminario, Libro VIII, Il transfert [1960-1961], Einaudi, Torino 2007, p. 405, § 2.