Frammento 1 – Antecedenti della questione
L’angoscia si diluisce oggi in varianti che la spogliano di ogni valore etico. Panico, ansia, fobie, sintomi psichici e somatici migratori, colpa e depressione per mancanza di reazione. Come sempre, si fanno tentativi per sopprimere l’angoscia mediante sedativi, alcol, funghi, parole magiche, riti religiosi e altri farmaci che la scienza ora fornisce.
Nello stesso tempo in cui Marx introduceva la nozione di sintomo sociale, nel 1844, Kierkegaard introdusse l’angoscia come concetto. L’angoscia non è definibile come sociale o plurale, essa è personale ed è legata al peccato, alla propria scelta basata sul sapere del sesso – sesso nel senso proprio del termine, taglio –. Contrariamente a tutte le mediazioni del sapere assoluto hegeliano, il sesso è, per Kierkegaard, l’unico caso in cui la sintesi implica opposizione ed esige scelta. Non c’è realtà intermedia, e se ne serve una, là c’è l’angoscia. Lo dice discretamente, il suo testo Begrebet Angest è pubblicato sotto lo pseudonimo di Virgilius Haufniensis. Circa mezzo secolo più tardi, Freud inaugurerà una disciplina nuova considerando apertamente che angoscia e sintomo, per il parlante di lingue equivoche, implicano il sesso come condizione causale.
Nel contesto inospitale tedesco del 1927, Heidegger spiegava che l’angoscia non si produce davanti ad un qualsiasi oggetto del mondo, ma davanti al mundus (ordine) come tale, questo mondo che duplica il corpo e che Lacan, che lo leggeva attentamente, ridurrà a un oggetto a. L’angoscia ci strappa dalla realtà quotidiana e impersonale del discorso comune, del mercato dove le cose hanno valore di scambio o di scarto. Questo ordine mercantile si impone su tutte le referenze soggettive, rendendo il parlante sempre più vulnerabile a un’angoscia che, improvvisamente, lo riduce al corpo come solus ipse in un mondo shopping, non-luogo, unheimlich. Per questo, la certezza dell’angoscia, ancora senza realtà, segnala la possibilità, l’imminenza certa di Altra cosa.
La cura che propone il filosofo è l’introduzione dell’esistenza singolare nel tempo, a ciascun giorno basta la sua pena (Sorge, souci), la cura consiste nell’azione dell’essere-per-la-morte. Alcuni decenni prima, Freud aveva avvertito che l’angoscia non si produce solo in questa prospettiva, e senza pseudonimi introduce l’essere per il sesso, l’essere due: l’angoscia è davanti al corpo Altro, al desiderio dell’Altro, alla relazione deficitaria con l’Altro, all’abbandono e anche al desiderio di morte (dell’Altro).
La soluzione filosofica, neutra o generica, si limita all’auto-aiuto, leggete il manuale e sbrogliatevela come potete. La soluzione scientifica è il farmaco, si tratta il corpo in quanto ente biochimico. Il dire di Freud punta sull’incontro con un Altro capace di ascoltare e far parlare l’angoscia, di farla entrare nel campo soggettivo dell’interpretazione, del sintomo e del transfert. Passare dalla certezza dell’angoscia a crederle (y croire), credere che essa voglia dire qualcosa.
Gabriel Lombardi, Buenos Aires, 23 luglio 2023
Frammento 2 – L’agguantare
L’angoscia vi agguanta – piccola, mano leggera sull’avambraccio ; violenta, che va a finire nel sangue. Possiamo cercare di civilizzarla sempre di più, sta sempre lì, acquattata ; sorge quando non ce la si aspetta e rovescia tutto. Non è per questa ragione che gli analisti, dopo Freud, si sono adoperati per trovare un’angoscia più fondamentale di quella di castrazione, che suppone uno scenario già molto elaborato ? Incorraggiati da Rank e il suo traumatismo della nascita che aveva obbligato Freud a riconsiderare tutto, hanno inventato l’aphanisis, la frammentazione, il crollo, lo smantellamento, lo strappo, tutta una serie di scenari del terrore supposti ancora più primitivi, alla misura di un’angoscia senza limiti.
Quindi, questa detta di castrazione dovrebbe trattarsi abbastanza facilmente: papà-mamma, pipì-cacca, io e io e io. Ma l’altra, quella che ringhia e che minaccia, la facciamo davvero tacere con queste stupidaggini già piuttosto trite ? Ai traumatizzati (PTSD – Disturbo da stress post-traumatico) ai quali Freud e i suoi allievi sono stati più attenti di noi, spiegate pure la legge del padre e fateci conoscere il risultato… Su questo punto, dobbiamo decidere : con Lacan, confermiamo questa distinzione delle angosce e il nostro smarrimento di fronte alle manifestazioni di un’angoscia primitiva che non sapremmo come affrontare? Non saremmo allora condotti a riservare a queste manifestazioni delle categorie speciali, falso Sé, stato limite, border-line etc ? Eppure, l’angoscia che appare come la più primitiva, non lo fa sempre in un contesto significante dato ? Questa « vera angoscia », non è il modo in cui si manifesta realmente per un soggetto la realtà della castrazione così come egli non voleva e non poteva immaginarla per quanto gli faceva orrore ?
Toccare questo non è necessario tranne per uno psicoanalista, se vuole accogliere una domanda di verità che ha esaurito i suoi sembianti, e non è pronta a riciclare questi ultimi a qualsiasi prezzo. Esiste un’angoscia che non ha un nome e che Lacan ha chiamato con una lettera, la prima : a. Quella dell’impossibilità a farsi sentire altrimenti che attraverso il dolore e il disagio. Tanto vale allora correre il rischio, perché ce n’é uno pure là, provare a ingannare l’orrore con il velo più o meno grazioso del fantasma, fino a quando venga a mancare, ancora una volta. Se i fantasmi sono ben condivisi, il modo in cui vengono a mancare è contingente, proprio a ciascuno. Qua, vale la pena andare a vedere ciò che sta succedendo, e forse fare un passo di lato per cercare di staccarsi dal sintomo e calmarlo. Come facciamo parlare le tracce dell’istante dove viene a mancare tutto ? Come interpretiamo la castrazione?
Marc Strauss, Agosto 2023
Frammento 3 – In principio era l’angoscia
Sebbene l’angoscia sembri una situazione episodica in cui la ragione o il pensiero si paralizzano e il corpo è preso da qualcosa che è più della paura, essa è strutturante. Dall’inizio alla fine, Lacan la situa come proveniente dal reale. Dapprima come effetto dell’«ingresso del soggetto nel reale»[1] taglio del simbolico sul reale il cui effetto è «il suo essere puro di soggetto»[2]. Un’entrata attraverso la destituzione soggettiva nella costituzione. Alla fine della sua opera la situa nel nodo borromeo come uno spostamento del reale sul simbolico[3], così anche come uno dei nomi del padre.[4]
Lo strutturante dell’angoscia «…si produce nell’io come un segnale, sul fondamento della Hilflosigkeit a cui è chiamata a porre rimedio»[5]. Le risposte, sempre insufficienti, sono il fantasma che offre un falso essere e i sintomi, siano essi pensati come obiezione all’ordine imposto dai discorsi, sia come soluzione al “non c’è rapporto sessuale”, sia come godimento dei tratti unari. Sono queste risposte a cui la psicoanalisi mira sul piano della verità e del dire vero degli uni di godimento dell’inconscio reale. È questo che contraddistingue la via etica dell’analisi, non solo perché oltrepassa l’orrore di sapere, bensì anche perché permette di prendere posizione di fronte a ciò che è più strutturale e strutturante.
Se la fine dell’analisi implica un passo attraverso la destituzione soggettiva, tramite il sapere, è ineludibile un tempo di angoscia, che implica un ulteriore sforzo da parte dell’analizzante e, dal lato dell’analista, di non cedere nel suo posto. Il lavoro con il mulino delle parole permetterà di riconoscersi lì, sapere costituito da questa materia angosciante, il dispositivo permette un’uscita, fa parlare l’angoscia.
Un dispositivo sempre aperto alla possibilità della sua imminenza, perché il reale è inesauribile. Così l’angoscia, tra altri, è un affetto che non inganna sulla fine di un’analisi, è segnale dell’avvicinamento a quel reale innominabile, dopo i giri detti dalla verità menzognera; non è l’ultimo, bensì un indice del cammino verso la porta d’uscita, il che implica il passo necessario attraverso la destituzione soggettiva a cui lo stesso linguaggio l’ha sottoposto, questa volta però per la via del sapere che necessariamente ha effetti nella riduzione dell’angoscia.
L’angoscia si può poetizzare, così come nel Werther “Non riconosci la voce della creatura esausta, svenuta, che affonda senza rimedio…”, spetta tuttavia agli analisti darle lo statuto strutturante che le corrisponde, se intendono coglierla nei loro pazienti, quando il percorso la fa emergere o quando è all’inizio per un avvento del reale.
Beatriz Elena Maya R.
[1] Cfr. Lacan, J. «[…] perché il soggetto […] faccia il suo ingresso nel reale», in «Nota sulla relazione di Daniel Lagache», in Scritti , Volume secondo, Giulio Einaudi, Torino 1974, p. 650, § 3.
[2] Lacan, J., Il seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], Giulio Einaudi, Torino 2016, p. 440, § 4.
[3] Lacan, J., Seminario XX, RSI, [1974-1975], inedito, Lezione del 10 dicembre 1974.
[4] Ivi, Lezione del 13 maggio 1975.
[5] Lacan, J., Il seminario, Libro VI, Il desiderio e la sua interpretazione [1958-1959], op. cit., p. 22, § 2.
Frammento 4 – Breve nota sulla traduzione
“Traduttore, traditore”
Così dice Freud nel suo libro «Il motto si spirito »[1], il traduttore è un traditore. Ma non si tratta di uno scherzo per il traduttore, bensì di una realtà che il traduttore deve affrontare per le inevitabili difficoltà presentate dalle particolarità di ogni lingua, per il ruolo cruciale svolto dalla metafora e dalla metonimia e per il cosiddetto gioco di parole. In fondo, si può giocare con il linguaggio, cambiare qualche lettera, ed è questa dimensione di gioco, secondo Freud, che permette di trarre piacere da uno scherzo, con la liberazione del nonsenso e la rimozione dell’inibizione. Naturalmente, Lacan ha portato la dimensione di gioco del linguaggio un passo più in là con il suo uso inventivo e istruttivo dei neologismi.
James Strachey, il traduttore di Freud, ci racconta il problema che ha incontrato nel tradurre der witz, per la sua traduzione inglese del “Motto di Spirito”[2]. Ha notato che, per motivi di coerenza, è stato necessario fare un compromesso. La parola inglese “wit” o “witty” ha un significato molto più ristretto in inglese, riferendosi piuttosto a un tipo di umorismo raffinato o intellettuale. Questa difficoltà ha fatto sì che né la parola “joke” né “wit” fossero giusti secondo il traduttore. La parola “joke” aveva un significato più ampio che permetteva al lettore di dare la propria interpretazione, anche se in alcuni casi la traduzione non era corretta. Per Strachey, una volta adottata la parola inglese, era importante la coerenza dell’uso.
Lo stesso vale per la parola tedesca “angst“. Strachey commenta direttamente la traduzione di “angst” in inglese[3]. Come per “ansia” ” [anxiety], “angst” è una parola piuttosto comune in tedesco. Tuttavia, ciò che sembrava importante per Strachey era che la traduzione dovesse riflettere l’uso psichiatrico che Freud faceva della parola angst, presente in parole come “angstneurose“. Questo ha portato Strachey a usare la parola “ansia” [anxiety], nonostante abbia anche un uso più ampio in inglese. Strachey ci dice che l’uso psichiatrico della parola anxiety risale alla metà del XVII secolo e, come per “angst“, il suo uso psichiatrico si riflette nella sua etimologia. Entrambe hanno un riferimento al soffocamento e alla caratteristica psicologica in questione (angst-eng– restringere,limitare ; anxiety-angere-spremere, strozzare). Anche la parola inglese “anguish” ha la stessa radice etimologica di “anxiety” e “angst“, ma Strachey sosteneva che riflettesse una condizione psicologica più acuta. Strachey scende a compromessi utilizzando “ansia” per “angoscia“, una traduzione più tecnica, caratterizzata da un elemento anticipatorio e dall’assenza di un oggetto.
« Anxiety » ” [ansia] come traduzione inglese di “angoscia” è un compromesso. L’ansia è diventata uno dei disturbi più frequenti ed evidenti nella clinica psicoanalitica moderna. Come ai tempi di Freud, può manifestarsi in vari modi, tanto che è diventato sempre più difficile sapere cosa intende il soggetto quando afferma di essere ansioso. Seguendo Freud, Lacan collega l’angoscia al reale, alla “hilflosigkeit” di fronte a ciò che non può essere detto. L’angoscia è, come la chiamava Lacan, un affetto eccezionale. È l’affetto che non inganna, proprio perché non ha un oggetto possibile, ma impossibile, objet a. Dato il compromesso e l’uso più ampio della parola “ansia“, spetta quindi a noi analisti nella clinica capire di cosa parla il paziente quando si riferisce al significante “ansia”, come capita spesso nella clinica psicoanalitica inglese. Dobbiamo determinare se il reale è in gioco quando si parla di “ansia“. Quando un paziente parla di “ansia“, non possiamo presumere che stia parlando di un altro affetto meno eccezionale se non usa la parola “angst” o “anguish“, che è meno comunemente usata in inglese. Né possiamo supporre che sia in gioco un oggetto reale impossibile. Parlano di un’angoscia reale? Come farla parlare?
L’uso della parola “ansia” ha una risonanza per chi legge e studia Freud e Lacan in inglese. Forse abbiamo ereditato questa traduzione con riluttanza, ma la coerenza, quando è necessario diventare il traditore, rimane appropriata. Non vedo l’ora di una discussione giocosa su questo tema a Parigi.
Carmelo Scuderi, Melbourne, Settembre 2023
[1] Freud, S. (1905). SE. Vol VIII, p. 34.
[2] Freud, S. (1905). SE. Vol VIII, p. 6-7.
[3] Freud, S. (1895). SE. Vol III, p. 116.